Matrice

Negli ultimi quarant’anni la medicina di ricerca ha fatto enormi progressi nello studio della Matrice Extracellulare (Extracellular Matrix o ECM nell’abbreviazione scientifica internazionale). Fino agli anni ‘60 si riteneva fosse semplicemente un collante cui le cellule aderiscono per non disperdersi. Oggi sappiamo che è «la più complessa unità di organizzazione strutturale dei tessuti degli organismi» pluricellulari, che ne è cioè il primo e più fondamentale regolatore biologico. È costituita da una soluzione d’acqua e macromolecole di polisaccaridi (i GAG, solitamente legati alle proteine per formare i proteoglicani) e proteine che la ricerca medica non ha ancora finito di classificare e di cui continua a scoprire nuove funzioni. «L’ECM rappresenta il substrato su cui tutte le cellule dei tessuti possono aderire, migrare, proliferare e differenziare, e che ne influenza inoltre la forma e la funzione. [...] Può calcificare come nei tessuti ossei, dove forma strutture solide come la roccia, o costituire la struttura trasparente della cornea o assumere l’organizzazione che conferisce ai tendini la loro enorme resistenza alla trazione». È responsabile dei processi di riparazione e rigenerazione cellulare e tessutale, interviene nell’espressione genica delle cellule (contribuisce cioè a determinare quali geni vengono espressi e quali restano silenti), determina le proprietà degli organi (Mainiero).

I processi patologici hanno origine in squilibri nell’ECM, e i processi di guarigione che vanno a buon fine coinvolgono il ripristino dell’omeostasi di questa struttura (Mainiero; Pischinger; Bissell).

«Stated simply, every function and every process in the living body involves the Matrix in one way or another. [It forms] a totally pervasive system, a major organ that reaches into every part and whose property are absolutely vital to the operation of the whole. [...] It is in the Matrix that the causes and cures of the so-called systemic and chronic illness can be found» (Pischinger).

Oggi sappiamo spiegare in modo soddisfacente, ma non esaustivo, come l’attività dell’ECM viene compromessa e come può essere riequilibrata.
In condizioni normali, l’ECM accompagna il metabolismo addensandosi e liquefacendosi con ritmo regolare. Passa cioè per due volte nell’arco delle 24 ore da gel (uno stato più viscoso, in cui la matrice è carica dei residui metabolici che provvederà a eliminare) a sol (uno stato più liquido, che consente l’eliminazione delle scorie).
In condizioni di stress prolungato, invece, l’ECM non riesce più a liquefarsi e permane in stato di gel «fino al perdurare dello stress: ciò comporta stasi ematica e stasi linfatica, con accumulo tissutale di elementi danneggiati. [...] Il progressivo deterioramento strutturale dell’ECM è conseguente al suo permanere in acidosi e quindi in fase di gel, condizioni rilevabili dall’aumento dei valori di misurazione dello stress ossidativo, [cioè la presenza in eccesso di atomi di ossigeno alterati, detti radicali liberi o ROS (Reactive Oxygen Species), che, in virtù della loro alta instabilità e reattività, danneggiano le strutture cellulari, cosa] che nel tempo si manifesta con segni di esaurimento funzionale» (Bellabona).

Un modo efficace di rispondere al problema è quello di indurre nell’organismo una fase di predominio vagale, obbligandolo a rilassarsi: si interrompe così la fase di stress e si permette all’ECM di passare allo stato di sol, inducendola a liquefarsi quando spontaneamente non ne sarebbe in grado, restituendole la transizione di fase che le permette di funzionare correttamente e di provvedere alla riparazione dei danni che si sono creati. Inducendo la liquefazione dell’ECM per un certo numero di volte (un numero molto limitato, che va da una a tre, è di norma più che sufficiente, ma in alcuni casi può essere necessario ripetere l’operazione per un periodo più lungo), l’organismo ha modo di riparare i danni e di solito cessa l’iterazione dello stato di stress, sicché la matrice può ripristinare la propria transizione spontanea da gel a sol secondo il ritmo corretto. È questa in estrema sintesi l’azione di Bowen e H3AL.